Lo spanking è maschile o femminile?
Dirò la verità, tanto, essendo vecchio, non devo fare carriera politica. I mappamondi in fiamme o sculacciata o spanking o fessée che dir si voglia è sempre stata all’ottanta per cento un arrossar natiche femminili. Per onestà va detto. Con il racconto di Delia nell’articolo “Scrittori a tutto spanking” ho voluto pareggiare un po’ il conto. Eppure di monelli – un po’ di tutte le età - in giro bisognosi di qualche severo castigo e consapevoli di esserlo e desiderosi di riceverlo ce ne sono parecchi. “Parecchi” però non vuol dire “molti”.
Nessuno mi chieda perché i numeri dicono che umiliazioni e adorazione del piede e altro ancora sono nelle preferenze di molti uomini più che la sculacciata o anche la verberazione in generale. E se qualcuno mi dovesse chiedere perché è cosi, potrei solo dire “non lo so”.
Non avendo una risposta cosa c’è di meglio che confessare di non sapere anziché inventarsi la prima cavolata che passa per la mente per evitare brutta figura. Ahhh che bello dire “non so”. E’ atto di onestà e anche uno stimolo a indagare, cercare di scoprire anziché fermarsi su una mezza verità o su una bufala. Solo mappamondi in fiamme femminili nei racconti nelle rubriche curate da Livio, da Vittorio, e anche da Paul Stoves ma qui con qualche eccezione.
Ed anche solo, con poche eccezioni, mappamondi in fiamme femminili nella letteratura francese di inizio secolo scorso che tanta importanza ha avuto per tutto il sadomasochismo europeo.
(Non essere impaziente, parleremo anche di questi intriganti libri finemente illustrati, ma non so quando perché, come vedi, “procedo a vista” e senza uso del GPS. Vago dove mi porta la testa in quel momento)
E ancora solo mappamondi in fiamme femminili negli anni ‘50 e seguenti per la nascente cultura sm americana. Betty Page icona per il bondage e anche per lo spanking.
E nella cinematografia americana quante famose attrici in film assolutamente per famiglie sono state messe OTK dal marito e a dovere sculacciate (sulle gonne, s’intende), spesso davanti genitori, figli, amici divertiti per quella scena così … naturale come sculacciare una donna.
Certo, un secolo fa o anche cinquanta, settanta anni fa – stiamo parlando di questi periodi – il ruolo dell’uomo era del tutto dominante e quello della donna del tutto sottomesso per cui si potrebbe pensare che fosse naturale avere anche nella letteratura erotica questo analogo schema.
Ho usato il condizionale perché la letteratura può essere anche sogno, fantasia, uscita dagli schemi con tanti sederi maschili verberati: così non è stato.
Ma si noti che qui, su questa rubrica del Club & Kitan Club ho voluto in qualche modo attenuare questa disparità iniziando con un culetto maschile arrossato dalla abile mano di Delia. Ed oggi presento un racconto di Vinicio – uno dei citati collaboratori di Paul Stoves - scritto a suo tempo per la rivista Club. A farne le spese un culetto femminile, quello della moglie del sindaco, culetto arrogante (come spesso lo sono quelli delle mogli dei sindaci. O almeno di alcune che io conosco) nonchè bugiardo. Dunque, più che mai meritevole di cocente castigo.
GRANDI MAGAZZINI
Vinicio
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La vicedirettrice del reparto Confezioni Donna era nervosa, maledettamente nervosa. Non solo la direttrice s'era (ufficialmente) involata per partecipare alla grande convention nazionale del marchio di punta del reparto, non solo quattro (quattro!!) commesse si erano date malate per saltare la bolgia dei saldi, non solo le toccava fare (a lei!!) l'inventario del magazzino resi, un magazzino che prima d'oggi non sapeva neanche dove fosse ubicato! Non solo tutto questo ma, ora, pure questa rogna: una ladra pizzicata nel suo reparto, e che ladra!
Se l'immaginava come se l'avesse vista, la sorvegliante del grande magazzino aggrottare le sopracciglia e, con gestualità che le era abituale, spingere in fuori le labbra serrate quando dal suo punto d’osservazione nel reparto aveva intravvisto qualcosa che richiedeva la sua attenzione.
Lo sguardo vigile l'era sicuramente caduto su quella bella signora, assai elegante nel suo abito rosso ed alla moda, ben truccata e coi capelli neri, folti e pettinati in un’elaborata acconciatura in stile anni sessanta, frutto, ne era certa, dell’accurato lavoro di un parrucchiere d’alta classe. Completava il quadro un paio di occhiali da sole rotondi a specchio, sicuramente firmati, che indossava pur nella luce piuttosto soft e tenue del reparto-boutique dei grandi magazzini.
Costei, aveva preso alcuni vestitini estivi e, da un espositore di cristallo, alcuni foulard di pura seta; con la merce tra le braccia s'era appartata in un camerino. All’uscita, però, l’occhio esperto della sorvegliante aveva avuto la netta impressione che il numero dei capi tra le sue mani non corrispondesse a quello dei capi entrati.
Osservando con estrema attenzione ogni movimento della cliente per constatare se fosse o no passata a regolare la sua posizione alla cassa, la sorvegliante s’avvicinò con grande discrezione all’uscita del reparto.
La cliente in questione, per nulla insospettita, dopo aver riposto vestiti e foulard (ma erano tutti o ne mancava qualcuno??) aveva girovagato tra la merce esposta e, guardandosi attorno, dopo qualche minuto aveva preso, e pagato, qualche oggettino di scarso valore alla cassa di reparto e s'era affettata, tutto ad un tratto, dirigendosi rapidamente verso l’uscita brandendo il sacchetto giallo del magazzino; ma qui, proprio sulla soglia venne lestamente, con gentile fermezza, bloccata dalla sorvegliante.
- Permette, signora? Forse ha dimenticato di pagare qualcosa? Sa, con questa confusione, è facile scordarsene...
Le avevano insegnato a rivolgersi sempre ai clienti con grande cortesia, offrendo loro, in questo modo, una via d’uscita decorosa ad una situazione particolarmente antipatica e scabrosa e senza sollevare scandalo alcuno.
- Ma lei è pazza! Come si permette! Si faccia da parte e mi lasci uscire immediatamente!
Adesso la sorvegliante non aveva più alcun dubbio ed i suoi sospetti erano divenuti una certezza. La signora aveva tentato di rubare: la sua reazione esagerata ed esasperata era una conferma ai suoi legittimi dubbi.
- Sono dispiaciuta, signora, ma devo chiederle di seguirmi negli uffici di direzione; la prego di non agitarsi e di non dare spettacolo, sarà meglio per entrambe, non crede?
La cliente rimase per qualche istante perplessa ed indecisa ma, poi, si mosse con passo svelto dietro la sorvegliante, consapevole che avrebbe fatto ben poca strada se avesse tentato di fuggire.
- Va bene, andiamo pure dove vuole! Stia sicura che le farò passare dei guai per la sua impertinenza!
La sorvegliante non rispose. Era abituata a questo genere di frasi e di reazioni. Accompagnò la donna lungo il corridoio fino a giungere innanzi ad una porta sulla quale troneggiava una bella targhetta in ottone lucido sulla quale era incisa la parola “Direzione”. La sorvegliante bussò e, subito dopo, si battè una manata sulla fronte, memore di un'informazione che, nella fretta di scaricare il pacco ad altra competenza, s'era fatta sfuggire: la direttrice oggi era assente.
Le toccava scarrozzarsi la ladra fino al magazzino resi, dalla vice, quella signorina tanto carina ma sempre maledettamente nervosa.
- Venga signora - cercò una frase di circostanza per limare l'imbarazzo della sua dimenticanza - oggi la direttrice non può ricevere nessuno, dobbiamo andare dalla vicedirettrice, in magazzino resi, ci vorrà un attimo e, forse, per lei sarà meglio parlare con una persona più giovane e meno intransigente della direttrice ... - facendo intendere che il prezzo di un ulteriore pellegrinaggio avrebbe potuto essere compensato da una maggiore flessibilità di giudizio.
- Sì, vabbé - rispose la signora, per nulla convinta.
Girovagarono qualche minuto lungo i corridoi di servizio del grande magazzino e, infine, la sorvegliante imboccò una porta, entrò in un'ampia stanza piena di stender e scatole di scarpe, facendo accomodare all’interno la cliente spaesata.
Nel magazzino resi, seduta su una scomodissima sedia da riunioni, la vicedirettrice stava masticando non poche parolacce tra denti e labbra per un paio di capi segnati ma non presenti e stava sognando di essere al posto della direttrice, alla convention di Cortina, magari non proprio nella hall dell'albergo ma su, in una suite, con quel figazzo dell'amministratore delegato.
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Una smorfia di disappunto le disegnava un non so che d'inquietante sul bel viso chiaro, ovale incorniciato da una capigliatura a caschetto lungo di colore corvino, ora un po' scompigliata dall'attività di rimessaggio dei vari capi resi al negozio per indefiniti e microsocopici difetti o per semplice, puro capriccio.
Il vestitino nero aderente, di notevole eleganza e sobrietà, le disegnava un delizioso corpo snello, agile e scattante.
Così, incazzata per vari motivi e seccata per l'ulteriore grattacapo, l'abbiamo trovata all'inizio del racconto, così riprendiamo da questo punto a narrare, dopo avervi edotto degli antefatti.
- La signora, ha dimenticato di pagare alcuni articoli di lusso, occultandoli sul proprio corpo. Ella nega, ed io, ovviamente, sono pronta a porgerle tutte le mie scuse se ho sbagliato.
- Io non ho dimenticato proprio un bel niente e costei, ne sia certa, è una pazza patentata! Mi ha persino impedito d’uscire ed io considero questo un atto abusivo, un sequestro di persona in piena regola! Appena sarò fuori di qui mi recherò dal mio legale e vi citerò per i danni morali e materiali che mi state arrecando, capito?
La giovane ma scaltra vicedirettrice osservava con estrema attenzione la donna senza proferire parola. Poi, rivolgendosi alla sorvegliante, ordinò:
- Va bene, va bene, lei vada pure, ora me la vedrò io con la signora.
Quando la massiccia (ma sollevata) addetta alla sicurezza uscì dal magazzino, la vicedirettrice si alzò, andò all'unica entrata della stanza, chiuse la porta a chiave, si sedette di nuovo, tanto più comodamente possibile per la natura estremamente rigida di quella maledetta sedia, e si rivolse alla signora, in piedi davanti a lei:
- Signora, se non sbaglio lei è la moglie del nostro caro ed amato sindaco, vero?
- Sì, certo, sono io, proprio per questo potrà bene immaginare che una donna nella mia posizione sociale non va, di certo, in giro a rubacchiare foulard!
- Ma, signora, in realtà nessuno ha mai parlato di foulard
...
La donna, nel sentire questa affermazione, arrossì fino al color bordeaux. La vicedirettrice, nel frattempo, approfittò di quest’attimo di smarrimento per impadronirsi della borsetta della sospettata e, apertala, ne estrasse un ampio foulard in seta che ben conosceva, uno dei più costosi del reparto, con l'etichetta del prezzo (esorbitante!) ancora attaccata al capo.
- Ma guarda, guarda, cè proprio un foulard firmato qui, con la nostra etichetta ... e mi dica, signora, è scivolato o c'è caduto da solo nella sua borsetta? - spinse l'etichetta del foulard sulle lenti degli occhiali della ladruncola con arroganza e cattiveria - vede "signora", vede che è roba nostra? Lo vede? Eh?
La moglie del sindaco, messa di fronte all’evidenza dei fatti, perse tutta la sua sicurezza e iniziò a balbettare qualche scusa che risultò peggiore del suo ridicolo reato.
- Sa, si è trattato solo di una scommessa. Sa come succede fra amiche, si parla, ci si sfida, in ogni caso lei ha ragione, va bene, mi dica cosa devo pagare.
Pagare? Sì, sì, certo, come no! Pagherai eccome cara "signora"; la vicedirettrice non credava, lei stessa, a quella inaspettata fortuna, a quella grazia del fato che il destino e l'universo le avevano donato per scaricare sulla ladruncola altolocata la sua frustrazione mattutina.
- Mia cara signora, non spetta certo a me decidere quanto e come lei dovrà pagare, la denuncia farà il suo corso e, a tempo debito, lei sarà convocata in tribunale per il processo; si rende conto che stiamo parlando di un furto, vero?
- Ma..., ma... furto? Denuncia...? Ma non posso permettermi di finire in un'aula di tribunale, ne parlerebbe la
stampa, finirei sui giornali, la prego, così facendo finirei per compromettere la carriera politica di mio marito. No! Lei non può denunciarmi, non deve!
- Mi spiace davvero, ma posso e, soprattutto, devo. Il mio compito, la funzione per la quale sono pagata, è quello di dirigere questo reparto, almeno quando la direttrice è assente, e fra i miei obblighi vi è anche quello di evitare le indebite sottrazioni e i taccheggi. Si figuri se dovessimo fingere indifferenza su queste cose dove andremmo a finire? In un anno sparirebbe merce per milioni di lire!!
- Ma, ascolti, non è il mio caso, le pagherò quello che vuole, in fondo è stata una ragazzata, mica un delitto!
La vicedirettrice rimase qualche attimo assorta nei suoi pensieri, in silenzio. Fissava la sua interlocutrice con
un’espressione severa ma, al tempo stesso ironica. Poi, dopo quegli attimi che parvero alla colpevole un’eternità, lanciò il suo sasso aguzzo, prendendo bene la mira prima di farlo:
- Mia cara signora, se come lei dice, si è trattato solo di una ragazzata, di una monelleria, fatta in buona fede e senza pensarci troppo, allora non avrà nulla in contrario se io la castigherò come una ragazzaccia senza cervello, che dice?
- Ma... non capisco..., cosa vuol dire, cosa intende?
- Lei ha compreso benissimo, le sto proponendo di accettare una punizione, un castigo corporale, come si faceva con le ragazzine quando queste erano colte in fallo. Mi capisce ora?
- Mi... mi faccia capire, mi vorrebbe, per caso ... sculacciare?
- Esatto, è proprio così. Naturalmente lei è liberissima di accettare o no; sappia però che qualora non si sottoponesse alla mia punizione dovrà vedersela con la polizia.
La moglie del sindaco, a quelle parole, si sentì raggelare il sangue nelle vene, il cuore le batteva forte nel petto, eppure non aveva altra scelta. Forse, la vergogna e l’umiliazione di quel castigo sarebbero state meno cocenti della denuncia, dello scandalo, del processo... e di tutto il resto!
Con voce tremula ed esitante mormorò, con un filo di voce:
- D’accordo, accetto.
- Accetta? Accetta che cosa?
- La prego, signorina, non renda ancora più penosa questa già insostenibile ed imbarazzante situazione; accetto che lei... che lei... mi... mi sculacci.
Sul viso della vicedirettrice, involontariamente, si disegnò un cenno di sorriso compiaciuto che lei immediatamente soppresse. Si sedette sulla sedia che, ora, le sembrava incredibilmente più comoda e indicò alla sindachessa le sue ginocchia asciutte e forti:
- Forza, venga qui, si metta al mio fianco, ora si sdrai a pancia sotto sulle mie ginocchia!
Dopo un attimo d’esitazione, la moglie del sindaco si distese sulle cosce tornite della vicedirettrice. Costei, con gesti studiati, lenti, esperti, le sollevò – centimetro dopo centimetro – la gonna, mettendo in bella vista con l’operazione umiliante, un culetto sodo, pieno e rotondo costituito da belle natiche elastiche ampie e tonde. Le chiappe erano oscenamente disvelate più che coperte da un leggero e ridotto slip brasiliano in filo di scozia sul quale erano ricamate, sul lato sinistro, in rosso, due lettere parzialmente sovrapposte, probabilmente le iniziali personalizzate della signora sindachessa: una raffinatezza che puzzava di pacchiano come tutta la sua ridondante figura ma che, a suo tempo, avebbe prodotto deliziosi frutti di perversione per la giovane ma non ingenua vicedirettrice.
Il disagio della poveretta aumentò notevolmente quando fioccarono sulle chiappe inermi ed esposte, le prime sonore, secche, sculacciate inferte a palmo aperto.
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La signora, seppure digrignando i denti, subiva senza opporre resistenza, ben conscia di quanto le sarebbe aspettato se non avesse accettato il compromesso della sculacciata.
La vicedirettrice non aveva alcuna fretta e, fra una sculacciata e l’altra, giocava con le mutandine della punita: le tendeva ben bene e poi le tirava verso l’alto facendo penetrare l’impalpabile tessuto fra le natiche e tra le grandi labbra della sciagurata che, di questo gioco d'esposizione della sua intimità, si vergognava mortalmente ... quasi come una ladra.
A volte, allentando la presa delle mutandine, le disincuneava dalle natiche opulente e le lasciava così, morbide e rilasciate, sulle terga frementi e brucianti. Dopo tutto questo giocherellare, durato al massimo qualche minuto, iniziò la progressiva ma inesorabile scoperta di culo e passera, abbassando lentamente e sino a metà coscia, l’ultima barriera intima sino al completo denudamento del culo insolente.
- No! La prego, le mutandine no... la prego, non mi tolga le mutandine..., non sul..., non a nudo... mi vergogno da morire, mi lasci le mutandine, la supplico...
- Senta, non ricominciamo a fare tante storie: già è sulle mie ginocchia, non si comporti davvero come una monella impertinente! Vuole ritirarsi? Vuole sottrarsi a quanto pattuito? Preferisce che chiami la volante? Guardi che è ancora in tempo, ma decida in modo definitivo e poi stia zitta per sempre! No? Allora la sculacciata la impartirò come si conviene: la gonna è già rialzata, ora scenderanno anche le mutandine anzi, non le servono, tanto sono un filo di scozia talmente leggero che rischia di congerlarsi l'utero ad ogni sbuffo di venticello.
Così dicendo prese le forbici da un cassetto lì vicino e tagliò senza pietà gli slip in modo che cadessero a terra come uno straccio per pavimenti.
- Vediamo un po’, dunque, un foulard firmato da centocinquantamila lire, una sculacciata ogni mille lire ... applichiamo anche sconto del trenta per cento, dato che siamo in periodo di saldi. Sì, tutto sommato mi sembra un castigo ragionevolmente corretto, non trova?
- Ma... ma cosa dice? Sono... Sono cento sculacciate!
- Cara signora, sarebbero ben oltre cento righe d’articolo sulla stampa, se la denunciassi...
- Va bene... va bene... ha vinto... ma mi sculacci... la prego, prima lo facciamo e prima finirà questa situazione imbarazzantissima... non mi faccia aspettare ancora!
La vicedirettrice procedette, senza proferire più alcun verbo, al progressivo, lento, esasperante e completo denudamento del culo che si presentò ai suoi occhi già di un bel colore rosa carico. Rotondità perfette, fenditura mediana netta, marcata, profonda, invitante; chissà quali tesori celava? La ragazza (che mai aveva disdegnato i piaceri offerti anche dal proprio sesso) cercò di non farsi distrarre da quella mirabile visione e, alzato il braccio destro, con la mano rigidamente distesa, lo fece ricadere con giusta forza sulla natica destra, nuda.
Ciac..., l'ennesima sculacciata.
Altri due sonori schiocchi si fusero mescolandosi alla voce della punitrice che, a voce alta, contava le sculacciate impartite:
- Dodici!
Subito seguito dal gemito della punita.
- Tredici!
Altro gemito con roco strillo.
Le sculacciate continuavano ad abbattersi sonore e cocenti, ritmate dal solenne e scandito conteggio e sottolineate dalle esclamazioni di fastidio e dolore della punita. Le natiche sobbalzavano mentre si arrossavano sempre più, in progressione. Secondo il ritmo che, mano a mano, la ragazza imprimeva alla sculacciata, le chiappe della signora si tendevano per rilassarsi subito dopo. Questo movimento faceva sì che lo svaso delle natiche, la riga divisoria, la rima mediana, si aprisse e si contraesse di continuo, lasciando palesare quanto di più intimo essa era destinata a celare.
La vicedirettrice continuava la sculacciata, colpendo tutta la superficie delle natiche ma senza trascurare l’interno delle cosce e, durante la fase di rilassamento, le parti più interne del culo, dove l’epidermide è più tenera e sensibile.
Ovviamente, essendo le natiche in questa ultima fase rilassate, la severa signorina poteva meglio gustare, sotto il tatto dei polpastrelli delle dita affusolate, la morbidezza di quelle rotondità.
Al cinquantesimo colpo, la “ladruncola” sembrava non poterne più.
- Ah..., uh..., no..., basta..., ahi..., basta..., basta, la prego, non lo farò più..., mai più..., perdono..., ahi..., no..., no...
La mano nervosa e scattante affondava nelle soffici natiche, ne avvertiva il calore che aumenta, sentiva il fremere della pelle che si arrossava sempre più intensamente.
La moglie del sindaco si sollevò all’improvviso, di scatto, dalle ginocchia sulle quali si trovava distesa in quella scomoda, umiliante ed infamante posizione.
- Basta..., basta, la prego, non mi sculacci più! Non pensavo che le sculacciate facessero così male e bruciassero tanto... Ho il culo in fiamme... la prego... basta.
Così singhiozzando, si massaggiava freneticamente con entrambi i palmi delle mani le tornite natiche rosse e brucianti, senza neppure curarsi troppo delle mutandine che durante la sculacciata e nel trambusto di tutta l’operazione erano ormai finite chi sa dove.
La vicedirettrice, la guardò severamente e dopo averla squadrata da capo a piedi pontificò:
- La mia punizione deve essere e sarà, completa e fino all’ultima sculacciata, che le aggradi o no, altrimenti la denuncio lo stesso! Capito? Se vuole possiamo arrivare ad un compromesso.
Mentre proferiva quelle parole, la vicedirettrice si avvicinò alla propria borsetta ed estrasse da una bustina fuxia una spazzola di legno robusta, quella che usava per sistemarsi i capelli quando era a lavoro.
- Guardi, posso dimezzare le cinquanta sculacciate manuali che rimarrebbero con venticinque colpi amministrati con la mia spazzola preferita; osservi lei stessa, non è forse carina? Ha un bel dorso in legno d'abete scandinavo lavorato a mano, ed il manico sarà, sì e no, lungo una ventina di centimetri.
L’idea di giungere al termine del severo castigo in un tempo più rapido fece rispondere la signora in modo affermativo:
- Va bene qualsiasi cosa, basta che la finiamo in fretta, non ne posso più... alla mia età, sculacciata come una ragazzina... che vergogna.
L’incorruttibile vicedirettrice, impaziente di riprendere la punizione corporale, spostò con la suola degli stivali il cencio che erano diventate le mutandine della malcapitata, le calpestò con i tacchi e le allontanò con un calcio sprezzante.
Una volta eseguito questo piccolo rituale di dominazione afferrò la moglie del primo cittadino per il polso sinistro e strattonandola verso una cassettiera, sulla quale la poveretta si era già puntellata durante la precedente serie di sculacciate, la costrinse in ginocchio, la obbligò a poggiare i gomiti sul top del mobiletto e, con un brusco movimento, le rialzò di nuovo la gonna fino alle spalle, costringendo la poveretta ad una postura umiliante e indecente.
Alzò la spazzola lignea con un sorriso crudele e la fece piombare proprio nel bel mezzo del culo già cremisi. Ora, pensava fra sé, avrebbe davvero sentito come mordeva quello strumento.
- E uno!
- Ahi... ma è tremendo...no...
- Mi spiace, ma ormai accettato, ecco il secondo!
- Ah...
- Tre! Quattro... cinque...
Il dorso di legno della spazzola affondava nell’epidermide paffuta per poi rimbalzare, respinto dall’elasticità delle chiappe tumefatte; esso lasciava sulle stesse, una marcata e ben delineata impronta che andava ad arabescare il culo insolente che, progressivamente, cambiava colore e si gonfiava.
Le natiche, iniziarono allora la rinomata danza del culo, un ritmo indiavolato sotto l’incalzare delle sculacciate che, solo chi ha provato personalmente, può facilmente intendere.
Mentre la spazzola colpiva con assoluta precisione il tenero ed invitante bersaglio, i gemiti ed i sussulti si erano trasformati in singhiozzi, singulti e lacrime. I muscoli glutei, con movimenti ormai incontrollati ed inconsulti, s’abbandonarono ad un convulso movimento di “apri e chiudi” che la vicedirettrice, accoccolata davanti alle terga della "signora" e, in posto d'onore per il matineé teatrale, ritenne estremamente piacevole e frizzante.
Il culo della moglie del primo cittadino rivelava distintamente ed in modo inequivocabile ogni più intimo recesso e le natiche, schiudendosi come boccioli di rosa e dilatandosi, espandendosi senza pudore, mostravano il forellino posteriore, bruno ed increspato; più in basso, la rosea fica carnosa e polputa che, leggermente dischiusa, rivelava oltre le grandi labbra, anche clitoride e piccole labbra.
Poi, finalmente, giunse anche la venticinquesima spazzolata, seguita dal conseguente urlo incontrollato della donna. La corrigenda, in lacrime, s’abbandonò sul mobiletto di legno come su di un inginocchiatoio profano dopo una penosa espiazione, con il viso rosso e sconvolto, il trucco disfatto, gli occhi gonfi per il pianto.
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Il culo, nudo e tumescente, teso nell’aria, era giunto al color rosso fuoco, quasi violaceo, segnato e marcato da macchie, qua e là, più scure ed enfie.
Con amorevole, quanto falso, gesto materno coprì il sedere della malcapitata ladruncola col vestitino di cotone leggero come un soffio ma, nonostante l'inconsistenza del tessuto, il contatto con la pelle lucida, gonfia, bruciante e tumefatta strappò solo gemiti di dolore alla povera donna.
La vicedirettrice sorrise, ci contava su quei deliziosi gemiti d'angosciato dolore e non era rimasta delusa; ancor più sorrise nel sentirsi la vulva zuppa di piacere. Ma per darsi sfogo avrebbe avuto tempo e modo, dopo.
Adesso c'era da inserire un ultimo passaggio nella sua trama perversa, l'ultima (per ora) umiliazione.
- Spero, mia cara, che la lezione ti sia servita - improvvisamente passando dal “lei” al “tu”, un passaggio ben denso di significati e sottintesi - e che quanto è accaduto in questo grande magazzino non debba mai ripetersi in alti luoghi. In ogni caso, con la sculacciata che ti ho impartito hai scontato la tua ridicola colpa; per questo puoi tenerti il foulard.
In fondo e a suo modo, lo hai pagato. Prendilo e sparisci, per oggi è tutto - rise di gusto, raccolse le mutandine ridotte ad uno straccio, le mise in borsa ad ogni buon conto e futura memoria ed andò ad aprire la porta senza neanche aspettare che la poveretta si ricomponesse
- Con l'occasione voglio anche farti i miei migliori auguri per la carriera politica del tuo maritino: sono sicura che pur di preservarla avrò il piacere di rivederti, spesso, molto spesso, diciamo almeno una volta a settimana, nel mio reparto; il nostro magazzino è sempre a tua disposizione, "signora": i prezzi della nostra merce li conosci!