Julienne, una magica creatura

Un racconto postumo di Re Franco

Non chiederti come sono fatte le cose che vuoi conoscere senza prima esserti chiesto come devi essere fatto tu per poterle davvero conoscere.

Anni fa a Parigi, durante un ricevimento a casa di un mio caro amico, mi fu presentata da una ragazza davvero splendida: alta, snella, capelli neri cortissimi, magnetici occhi verdi, lineamenti del viso perfetti, collo da cigno decorato da un filo di perle. Un semplice tubino nero metteva in risalto dei glutei e delle gambe da mozzare il fiato. Il suo nome era Julienne.

 A volte le parigine possiedono uno charme particolare: sembra quasi che la città trascolori su di loro le proprie tinte; tratto signorile, gesti sicuri. spontanea eleganza, e poi quella pronuncia così rilevata. Non sono necessariamente belle ma hanno fascino; possono indossare vestiti presi in qualche mercatino, magari d’una mezza taglia in più ma “giusti”... Eh sì, certe parigine hanno proprio una marcia in più. Ma quella di marce ne aveva altro che una. Sorriso incantevole, personalità vivace, conversazione brillante: si occupava di cinema, d’arte contemporanea e di mille altre piacevolezze. Facile immaginare che effetto poté avere su di me.


Lei per altro sembrava non disdegnare le mie attenzioni; anzi talvolta si faceva persino seduttiva anche se subito dopo riprendeva i toni della semplice cordialità; di modo che il momento di stringere sembrava sempre a portata di mano eppure non arrivava mai.

Così fino al termine della serata, quando mi indirizzò un affabile cenno di saluto; il tempo di accomiatarmi da un paio di conoscenti e lei era svanita nel nulla. In breve, non si dovette prendere il disturbo di negarsi dal momento che non ebbi una sola opportunità di chiederle qualcosa. Non so spiegarmi... È come quando un prestigiatore ti estrae una moneta dai capelli, te la fa scomparire da sotto il naso per dirti infine che ce l’hai nel risvolto dei pantaloni. Ed infatti sta proprio lì: “Strano posto per tenere il danaro, monsieur...”  Che fare? Mentre tutti ridono abbozzi un sorriso e, quando riesci a riprendere il controllo, quello ormai è sparito.

Il giorno appresso naturalmente misi sotto torchio il mio vecchio amico. La vecchia volpe sembrava non aspettare altro: “E così ti è piaciuta, eh? Magari ci hai fatto pure un pensierino sopra...” “Anche due o tre, se è solo per questo!” “Già… Guarda però che c’è un piccolo problema.” “Mi pareva bene!... Per caso è lesbica, va solo con le donne?” “No, questo no: donne o uomini... Per lei fa lo stesso. Il problema è che l’uomo è lei.” “Cioè cazzi di gomma...”

“Macchè gomma! Non ho detto che fa l’uomo: ho detto che è un uomo. Se ci fai caso: il tono della voce un po’ basso…”  “Nemmeno poi tanto.” “Piattina davanti…” “D’accordo, sarà pure un travestito. Non è mica una malattia!” “Certo che no… Però questo qui è un travestito un po’ strano.” “Strano come? Gli piace inculare...” “Inculare! Che razza di espressione!” “Sì, va bene: lascia perdere i dettagli linguistici e vieni alla sostanza.” “Veramente la sostanza sta proprio in una questione linguistica o, per meglio dire, orale...” “Ho capito, il sessantanove! Come dite voi francesi? Testacoda. Fellatio reciproca.” “Se togli reciproca...” “In che senso?”

“Nel senso che ti fa tenere la bocca ben spalancata in modo che possa avervi comodo accesso come e quando le pare. Ma non è finita qui, perché prima magari ti lega come un salame - anche se le catene lei preferisce mettertele non ai polsi ma nella testa - e si diverte a torturarti nei modi più perfidi: oh, quanto a questo, la sua fantasia è un vulcano! In sintesi, nei rapporti sessuali il primo problema è che lei non si diverte se non ti sente soffrire. Il secondo problema è che, quando le tue urla cominciano a venirle a noia, non fa altro che soffocartele direttamente in gola con il suo pisellino, che fra l’altro in quei momenti - ti assicuro - è tutt’altro che “ino”… Il terzo problema infine è che, una volta che se l’è goduta, non contraccambia mai il favore.”

“Cioè ti lascia a bocca asciutta?” “Asciutta proprio non direi: come ho appena cercato di spiegarti, nella tua bocca ci fa tutti ma proprio tutti i suoi porci comodi… Se invece vuoi dire che il piacere è unilaterale, questo sì: niente penetrazioni, niente testacoda, niente di niente… Poi, a frequentarla in un salotto, Julienne è la persona più adorabile di questo mondo. Ma nell’intimità è decisamente egocentrica, dispotica e – diciamocelo pure - un filino sadica.”

“E tu come fai a saperle tutte queste cose?” “Veramente qui le sappiamo un po’ tutti.” “E non potevate avvertire anche me?” “Volevamo vedere se ci cascavi...” “Molto divertente!” L’amico gongolava per avermi giocato quello scherzo. In realtà non poteva sapere quanto la cosa mi coinvolgesse personalmente; né io volevo scoprire subito le mie carte. Perciò sulle prime divagai in riflessioni accademiche: “Strano però: di solito ai travestiti piace concedersi come delle donne.” “Non sempre è così.” “Sì, a volte non disdegnano lo scambio dei ruoli, magari lesbicano con le signore. Ma in genere, per quel che ne so io, amano indossare una femminilità piuttosto remissiva.”

“E invece lei è l’esatto contrario. E poi definirla travestito è alquanto riduttivo, te lo assicuro… Julienne non rientra nelle solite categorie: non è un transessuale o un transgender: mai transitata da un sesso all’altro. Semmai è una specie di sintesi di entrambi i sessi”. “Allora è un androgeno.” “Un ermafrodito, direi.” “E non è la stessa cosa?” “Non esattamente: l’androgeno è un essere che riunisce in sé, come dice l’etimologia stessa, i comuni tratti sessuali dell’uomo e della donna. Invece nell’ermafrodito mascolinità e femminilità coesistono – come dire? - al grado più sublime. Si tratta del compendio di due divinità: Ermes e Afrodite, cioè potenza e bellezza.” “Sì, va bene... Questo però nel mito.” “Oh no! Ti assicuro che Julienne il mito lo vive ogni giorno sulla propria pelle.” “Vedo che la conosci molto bene, eh?” “Certo, con me ha una confidenza totale...” Mi ci volle un po’ per convincerlo a raccontarmi tutta la storia.

L’IDENTITà SESSUALE

Non chiederti come sono fatte le cose che vuoi conoscere senza prima esserti chiesto come devi essere fatto tu per poterle davvero conoscere.

“Julien (questo è il suo nome sui documenti)  sin da piccolo si sente fortemente attratto dalla bellezza femminile.” “E fin qui mi sembra tutto normale.” “Certo. Solo che lui la bellezza la percepisce come una sorta di entità metafisica, atta a stimolare nel prossimo non un normale desiderio ma piuttosto una sorta di venerazione. Su questo ideale di sublimazione il suo immaginario erotico va plasmandosi in modo direi ossessivo. È l’età in cui i bambini cominciano le loro esplorazioni, magari spiando dal buco della serratura o arrampicandosi sull’ultimo scaffale della libreria di casa alla ricerca delle pubblicazioni per adulti. Julien invece i suoi modelli li scopre nei libri di storia dell’arte. Certi nudi sembrano fatti apposta: pensa alla “Venere di corte” di Tiziano: meravigliosa, aristocratica, sdraiata senza veli mentre dietro di lei un’anziana fantesca e una ragazzina si affaticano in umili lavori domestici. Oppure l’Olympia di Manet che ti fissa con quegli occhi sfrontati, distesa nuda sul sofà con una mano appoggiata negligentemente sul pube, mentre una serva di colore alle sue spalle le porge un mazzo di fiori senza essere degnata nemmeno d’uno sguardo… Non so se mi spiego.” “Perfettamente. Va’ avanti.”

 “Elettrizzato da queste fantasie, Julien comincia a ritagliare Veneri trionfanti e a sovrapporle a figure di martiri, flagellazioni, contadine piegate nel duro lavoro dei campi. Ne ottiene la rappresentazione di un universo popolato da miseri schiavi sottoposti a dure fatiche e dolorose afflizioni per l’esclusivo privilegio di pochi esseri superiori che dominano imperturbabili dall’alto della loro olimpica bellezza. E, intanto che Julien compone i suoi quadretti, una sensazione di calore pervade il suo corpo. Avverte il pisello indurirsi nei pantaloni; ma, invece di tirarlo fuori e menarselo come fanno tutti i maschietti della sua età, lui accavalla le gambe e ve lo tiene stretto in mezzo. Ogni volta un piacevole stato di ebbrezza si diffonde dal basso ventre finché un bel giorno viene colto da una vertigine sconosciuta. Istintivamente contrae le cosce ancora più forte e così conosce il suo primo orgasmo.

Lì per lì rimane turbato, è logico… Ma, dopo appena qualche ora, eccolo che ci riprova. Questa volta fa le cose con calma: prende le sue illustrazioni preferite, va a chiudersi in bagno, si spoglia nudo e ripete l’esperimento. Lo fa anche due o tre volte al giorno con esiti sempre più elettrizzanti. La cosa lo esalta: lui seduto sul water, con il pisello stretto fra le gambe accavallate, gode proiettandosi nell’immagine di una splendida donna con uno stuolo di servi ai suoi piedi, anch’essa comodamente seduta a gambe accavallate sulla faccia di qualche vittima agonizzante.

Le evidenti analogie provocano nel ragazzino un cortocircuito mentale: nell’architettare le scene che lo erotizzano, Julien parte sempre identificandosi nei personaggi sottomessi; ma, man mano che sale il piacere, egli si immagina di provare le stesse sensazioni della figura dominante. Infatti nella sua fantasia la soddisfazione sessuale non spetta mai alle vittime, è assolutamente incompatibile con il loro stato servile: l’estasi è un privilegio esclusivo dei superiori. Quindi Julien parte da impulsi masochisti ma, quando gode, non può far altro che immedesimarsi nella splendida dominatrice dei suoi sogni. è come un gioco di specchi, di immagini riflesse.” “Bene, ciò che ha fatto da bambino l’ho capito. Adesso mi piacerebbe sapere come se l’è cavata da grandicello.”

“Sì, ci stavo arrivando... Tieni presente che Julien per eccitarsi e per giungere all’orgasmo si riveste del suo ideale femminile; però si tratta di una femminilità pensata da un punto di vista maschile; ed anche il piacere in lui sul piano sia fisiologico che emotivo rimane squisitamente maschile: tant’è vero che l’ipotesi di farsi operare non l’ha mai nemmeno sfiorato… Certo, stando così le cose,  man mano che cresce, il ragazzo va incontro a enormi problemi di identità e anche di rapporto sessuale.

Per fortuna ha in mano anche delle carte vincenti. Prima di tutto si ritrova un aspetto da capogiro: suo padre e sua madre sono splendidi e lui si può dire che abbia preso il meglio da entrambi. Perciò non gli occorre il chirurgo e neppure il farmacista, non troppo almeno. Una volta fatti sparire i peli superflui, gli basta un buon estetista e poi tanta ginnastica, yoga, danza, karate… Insomma, tutte le attività necessarie a conferire forza e insieme grazia, a controllare i movimenti, a rendere elegante il portamento e ben modellato il fisico: ventre piatto, due natiche scolpite nell’avorio, gambe ben tornite, corpo di marmo sebbene privo di vistose masse muscolari.” “Sì, questo si  vede...”

“In secondo luogo Julien è di estrazione alto-borghese, cresce in un famiglia facoltosa e illuminata, che rispetta la sua privacy: e così ha modo di compiere tutti i suoi esperimenti. Intanto coltiva anche lo spirito, frequenta l’Accademia di Belle Arti…” “D’accordo; ma col sesso?” “Niente: è corteggiato dalle ragazze e anche dai maschietti, ma non gli interessa nessuno.” “Via! Non mi dirai che non ha mai avuto una storia?” “Oddio, non è che non ci abbia provato. Il problema se l’è posto, tanto è vero che è stato anche in analisi. Ma il sesso normale continuava a non dargli nessuna emozione: l’idea del petting o di una comune scopata lo lasciava del tutto freddo per non dire di peggio.”

“E il suo analista non ha fatto niente?” “Non è mica un raffreddore che passa con l’aspirina! Cosa avrebbe dovuto fare l’analista? Creargli dei sensi di colpa? Farlo sentire un disgraziato? Meglio aiutarlo ad accettarsi e a realizzarsi a modo suo, visto che ne aveva i mezzi.” “Capisco.”

“E così a 18 anni Julien è un giovane maledettamente bello, precoce, colto, pieno di talento e di progetti: già trova in giro i primi lavori presso galleristi, scenografi, stilisti. La vita in famiglia comincia a stargli stretta. Perciò se ne va a vivere per conto proprio. Ma le sue inclinazioni sessuali rimangono un mistero per tutti. Di solito, se non vai con le donne, allora vuol dire che ti piacciono gli uomini. Ma lui no, nel suo assoluto narcisismo non poteva far altro che adorare solo se stesso e l’ambigua perfezione del suo corpo capace di generare mille emozioni ma nessun sentimento.”

“Nessun sentimento... Come sei melodrammatico! Raccontato così, sembra uno di quei personaggi usciti dal “Delta di Venere” di Anaïs Nin.” “Beh, in effetti il giro è un po’ quello: Montparnasse, i circoli degli intellettuali, i ritrovi di artisti, mecenati, cineasti... Un circolo di gente estrosa, l’unico àmbito in cui Julien poteva esprimere la sua vera natura. Pensa se una cosa simile fosse venuta a galla nella provincia benpensante: il poveretto ne sarebbe uscito a pezzi! E invece in questo ambiente la metamorfosi, pur non poco sofferta, ha potuto gradualmente realizzarsi. E così dopo molte avvisaglie, mezzi passi, toccate e fughe, finalmente una bella sera a una festa di carnevale fece il suo debutto in società la ragazza da sogno che hai visto ieri, ma con in più un look particolarmente provocatorio, chic & choc come nel suo stile: pelle, borchie, stivali, frustino, tanto per dare un segnale forte e chiaro di identità: ermafrodito con spiccate propensioni sado-feticiste.” “Immagino che la cosa abbia sollevato parecchio scalpore.”

“E anche parecchio entusiasmo, sia maschile che femminile... Certo credevamo tutti che quel gioco sarebbe rimasto circoscritto nei limiti di qualche ritrovo notturno. E invece il giorno dopo l’abbiamo rivisto nella sua nuova veste femminile, pur senza fruste e catene, è ovvio. Da quel momento insomma Julien è scomparso per sempre ed è nata Julienne. Forse all’inizio non proprio tutto sarà filato via liscio ma, a dire il vero, non credo che abbia impiegato molta fatica farsi accettare così com’è... Bene, ora conosci la storia.” “Intrigante.”

PUDORI E TIMORI

Per un attimo restammo in silenzio, ciascuno assorto nelle sue elucubrazioni. Dopo di che l’amico si sentì in dovere precisare:  “Sì, molto intrigante, non c’è dubbio... Tuttavia ci tengo a ribadire che, a dispetto della sua aggressiva ambiguità sessuale, Julienne umanamente è la persona più sensibile, generosa e leale di questo mondo: convincerla a giocare a carte coperte è stata un’impresa; non l’aveva mai fatto in vita sua. Sono stato io a insistere: le ho tanto parlato dell’ospite italiano, Don Giovanni incallito, grande conquistatore, sciupafemmine… Lei doveva sedurti e abbandonarti con un pugno di mosche in mano.” “Ah, la prima cosa le è riuscita benissimo, non c’è che dire. Quello che non le riuscirà è di abbandonarmi con le mosche…”

“Per carità, lasciala perdere.” “Lasciar perdere? Eh no, mio caro! Adesso voglio rivederla.” “No, ti prego, non cercare la rivincita con lei: ti garantisco che la metteresti in gravissimo imbarazzo.” “Ma quale rivincita, quale imbarazzo?” “Zitto, stammi a sentire un attimo: tu per lei eri solo un Casanova da strapazzo, un vanesio arrogante e pieno di sé. Le avevo detto così per stimolare il suo innato senso di sfida. Poi, quando ti ha conosciuto… Insomma, ieri notte mi ha tenuto al telefono due ore; era confusa, pentita; ce l’aveva con me perché l’avevo indotta a condurre un gioco scorretto. Continuava a ripetere quanto le fosse costato reggere la parte... Mi ha fatto giurare che ti avrei dato tutte le spiegazioni del caso. Insomma, ho dovuto sudare le classiche sette camicie per convincerla che non era successo nulla, che tu per primo ti saresti fatto una bella risata e basta... Via, mettici una pietra sopra. Questa sera non mancherà l’occasione per rifarsi: ci saranno un sacco di bellissime donne.” “Ma non mi interessano! Non l’hai ancora capito? Già prima avevo in mente solo lei. E, se vuoi proprio saperlo, ciò che mi hai detto adesso mi intriga ancora di più!”

“Non scherzare col fuoco! Guarda che Julienne è ipersensibile, non sarebbe capace di fare del male a una mosca. Lei non ha la classica mentalità del sadico che se ne infischia della sua vittima. Julienne al contrario si immedesima totalmente in chi sta ai suoi piedi, ne è la proiezione ideale e ne incarna il desiderio: quindi con il partner ha bisogno di una sintonia perfetta...” “E chi ti dice che io non possa avercela?” “Ma non dire sciocchezze, ti conosco bene: a te piacciono le belle donne... Sì, sarai anche stato con qualche travestito. Magari qualche volta ti avranno legato al letto, avrai preso un paio di cinghiate. E chi no?... Questa è una faccenda ben diversa!” “Me ne rendo perfettamente conto, non sono stupido.” 

“E allora ascoltami, ti prego. Quello che mi preoccupa è che con te Julienne potrebbe anche desiderare di essere diversa da se stessa. Ci ha già provato una volta a mischiare eros e sentimenti... è stato un disastro: non deve più succedere! è essenziale che lei tenga tutto sotto controllo.” “Sciocchezze! Se hai tutto sotto controllo, allora vuol dire che non stai vivendo abbastanza...” “Sì, però non rischi neanche di morire. Via, lasciala stare. Fra un paio di settimane te la sarai dimenticata. E lei farà lo stesso. Non crearle problemi. Credimi: non puoi cambiarla.”

“Santo cielo, ma come te lo devo dire? Io non voglio cambiarla. Lo so, tu non conosci le mie fantasie più intime, ma ti giuro che per me è perfetta così com’è!” Tralascio le estenuanti discussioni che seguirono: dovevo nel modo più assoluto riuscire a parlarle, convincerla a lasciarsi corteggiare, amare e adorare proprio come piaceva a lei. Alla fine ottenni il recapito.

L’incontro

L’impulso era quello di chiamarla subito al telefono, ma forse sarebbe stata una mossa troppo invadente. Quindi preferii farle recapitare una lettera con dei fiori. Trascorsero due giorni interminabili: non fu davvero facile per lei decidere e per me attendere. Al terzo giorno finalmente arrivò un biglietto: “Monsieur, domani pomeriggio sarò al...” seguiva il nome di una sala da tea non lontana dal Museo degli Impressionisti. Ovviamente non mancai. Era una giornata estiva. Lei sedeva all’aperto in un elegante tailleur chiaro con un largo cappello in tinta: impossibile non notarla.

“Posso tenervi compagnia, Mademoiselle?” “Ve ne prego… Però, se sentite caldo, possiamo anche sederci dentro.” Il che, fuor di metafora, significava: se non vuoi farti vedere in giro con me, andiamo lontano da sguardi indiscreti.“Sarebbe un peccato: c’è un venticello così piacevole!” “Sì, lo trovo decisamente piacevole anch’io… Gradite una tazza di tea?” “Meglio un caffè... Per restare sveglio, sapete: è da tre notti che non chiudo occhio.”

“Mi spiace. Dovreste prendere qualcosa contro lo stress.” “Sono venuto apposta. Pare che per i miei problemi esista un unico rimedio: si tratta d’una alchimia molto particolare, che si trova solo qui.” “Qui a Parigi?” “Qui a questo tavolo.” “Devo dedurre che l’alchimista sarei io…” “Su questo non ho il minimo dubbio.” “E come fate a non averne?” “Mi sono informato su di voi.” “Già... Lo so, avete chiesto di me... Però in certi casi non dobbiamo chiederci come sono fatte le cose ma piuttosto come dovremmo essere fatti noi per poterle conoscere davvero…”

“Vi garantisco che me lo sono domandato e, in tutta coscienza, mi sono risposto che io sono fatto in modo perfettamente complementare a voi. So che non usate mezze misure e che non andate per gradi; ma so anche che non siete una folle, e tanto mi basta. E so anche che siete la persona più intelligente, sensibile, affascinante che abbia mai conosciuto. Mai stato più sicuro in vita mia, credetemi!” “Però mi preoccupa non poco…” “Cosa? La distanza? Ma ci sono gli aerei. E poi dicono che uno dei segreti per le coppie è quello tenere le dimore separate...” “Suvvia, non scherzate. Non è la distanza a inquietarmi; è il trasporto sentimentale…”

Era il momento di passare decisamente all’attacco: “Credete di essere felice con tutte le schermature che vi siete costruita intorno?” “Felice no, ma almeno serena… ed anche piuttosto allegra, a essere sincera.”  “E allora non turberà di sicuro la vostra allegria il fatto che io provi a starvi vicino. Volete provarci anche voi o preferite rinunciare a vivere fino in fondo per paura della vita?” Lei restò assorta per qualche istante; quindi annuì sorridendo e con la sua mano sfiorò la mia: “Non avete torto...” Fu solo un attimo.

Si alzò decisa: “Cielo, com’è tardi!” Ci attendeva un vernissage in una delle tante gallerie d’arte contemporanea. Lasciai sul tavolo una banconota per il cameriere e fui pronto a seguirla. Camminammo per una ventina di minuti chiacchierando piacevolmente. Quando giungemmo a destinazione entrai per primo e le feci strada come si conviene a un accompagnatore: “Come vedete, Mademoiselle, non ho la minima intenzione di far credere che ci siamo incontrati qui per caso. Se poi voi vorrete rendere noto che io vi appartengo, sarà un onore assecondarvi.” “Coraggio allora, facciamo il nostro ingresso in società.”

Lei conosceva tutti; ad alcuni mi presentava come il famoso architetto di cui tanto s’era sentito parlare, ad altri diceva solo il mio nome di battesimo. Nel conversare mi dava sempre del tu mentre io continuavo a darle del voi. Ma, a parte queste sottilissime sfumature, ogni cosa filava nella maniera più normale quando d’un tratto, con uno di quegli imprevedibili colpi di acceleratore che avrei imparato ad amare in lei, Julienne mi confidò: “Bene... è giunto il momento di dare un po’ di scandalo.” “Qui, davanti a tutti?” “Certo che no: essere esibizionisti non significa essere invadenti o cafoni. Questo è un ricevimento pubblico. No, ci apparteremo con la dovuta discrezione. Ciò non toglie che, se tu mi seguirai, nessuno farà fatica a immaginare...” “Avanti, dunque”. “Ancora un attimo. Ti devo avvertire che la prova a cui intendo sottoporti adesso è di quelle estreme, dove non esiste il minimo spazio per barare o per dissimulare: se non ci sei, non ci sei... Non voglio andare per gradi e non voglio inutili illusioni.” “Fidatevi, non vi deluderò.”

In molti la videro salire, con me dietro, al piano superiore dove c’era gli uffici ma anche la toilette. Lei vi si diresse decisa, si fermò davanti alla porta, si girò di scatto e mi guardò fissa negli occhi: “Ho bevuto acqua, tea e champagne a volontà... Immagini cosa possa volere da te ora?” Sì che lo immaginavo: con tutte le allusioni che aveva fatto il mio amico sul restare o meno a bocca asciutta con lei, una simile eventualità non  mi giungeva inaspettata... Dunque mi inginocchiai senza un attimo di esitazione e, con il cuore in gola, le sollevai la gonna lungo i fianchi: lo spettacolo era di quelli da far perdere la testa a un santo.

Rimasi in uno stato quasi di trance, il che dovette lusingarla non poco: “Delizioso... Secondo il manuale del perfetto masochista, ora dovresti togliermi le mutandine con le labbra. Ma, vista l’emergenza, direi che per questa volta puoi continuare a usare le mani.” Eseguii con la massima delicatezza. Devo ammettere che avevo sognato in modo quasi ossessivo il prezioso gioiellino che mi sarebbe apparso in mezzo a quelle gambe fantastiche, sormontato da un triangolo isoscele perfetto… Ma la realtà stava andando oltre la mia più audace immaginazione. Lo presi con una delicatezza assolutamente spontanea  fra le labbra e subito ne sgorgò un fluente rivoletto. Lei mi guardava dall’alto tra l’incuriosito e il compiaciuto; ed io a mia volta, intanto che deglutivo, non smettevo un solo istante di guardarla di sottecchi, perso nella più totale adorazione...

E è che fossi privo di esperienze consimili, per il vero: l’avevo già fatto con qualche bella signora incline ai giochetti più indecenti. Però in precedenza la sgradevolezza dell’impatto reale aveva dissolto ogni suggestione dell’immaginario. Ma con Julienne l’incanto non si dissolse, per fortuna…

Anzi no, la fortuna non c’entrava per niente: era grazie a particolari cure del corpo, a diete sorvegliatissime e a tutta una serie di rigorosi quanto ingegnosi accorgimenti che Julienne in ogni contatto fisico con il suo prossimo, compresi quelli più estremi con i propri schiavi, risultava sempre incredibilmente incantevole. Inoltre la particolare conformazione di quell’idolo, la sua superba postura, il suo inimitabile stile mi donavano sensazioni ipnotiche, mai provate con nessuna donna... Non saprei dire il motivo: forse le altre in certe particolari circostanze tendevano ad assumere posizioni un po’ scomposte, modi non troppo eleganti… E invece Julienne no: tanto più scabrose erano le cose che faceva, tanto maggiore era il controllo e la classe che ci metteva nel farle. 

A un certo punto lei si fermò e con tenera indulgenza mi carezzò la testa: “Come mi piacciono quei tuoi occhi così profondi... E pensare che, secondo le regole tradizionali, uno sottomesso dovrebbe tenere lo sguardo basso... Quanto sono stupide le regole! A me piace immensamente essere guardata, poter leggere in ogni istante nello sguardo di uno schiavo tutta la venerazione che egli prova per me… Che sensazione paradisiaca! Devo ammetterlo: non mi sarei mai immaginata di trovarti subito così in sintonia…” Io, sempre con quel vezzoso gingillo in bocca, tentai di farfugliare: “Sono tante, mademoiselle, le cose che non vi immag...” Non potei terminare la frase perché lei, reclinata leggermente la testa all’indietro e socchiusi gli occhi, senza più darmi retta aveva ripreso a far pipì come se nemmeno esistessi.

Ancora una fui pronto a sostenere con la massima docilità quella servile mortificazione. E lei ancora una volta ne rimase visibilmente lusingata: un brivido la percorse per tutto il corpo e l’aurea pioggerellina si interruppe. Quel grazioso ciondolo, inorgoglitosi, andava acquistando una dimensione che non avrebbe più potuto in alcun modo essere nascosta.

Allora mi afferrò per i capelli e me lo sprofondò senza alcun riguardo in gola; ma mi scostò quasi subito: “No… Non ora. Non qui. La prima volta non voglio che succeda in questo modo.” “Rincresce anche a me. Però, a questo punto, mi pare impossibile tornare indietro...” “Si vede che non conosci ancora il mio autocontrollo!” Serrò gli occhi come per astrarsi e, sotto il mio sguardo incredulo, quella trionfante virilità ubbidì alla sua proprietaria tornando in breve alle vezzose proporzioni di partenza. Julienne si risistemò la gonna: “Coraggio, andiamocene”. Ma io, raccolte le sue mutandine da terra, continuavo a rimanere interdetto in ginocchio con quel piccolo indumento di seta rosa in mano. Lei allora, sorridendo divertita, con una lieve pressione dell’indice sotto il mento mi fece alzare, mi prese le mutandine e le infilò decisa nel taschino della mia giacca a mo’ di fazzoletto: “Voilà: rosa su blu! Non passerà inosservato…”

Fece séguito una torrida notte di passioni. Dibattendomi nell’interminabile agonia di raffinati supplizi e nel delirio di un rapimento estatico, con la testa stretta nella morsa inesorabile delle sue cosce vellutate, conobbi per la prima volta il vulcanico piacere di Julienne… Non so se fosse un ermafrodito o che altro. So solo che si trattava di un essere davvero prodigioso per la sua affascinante eccentricità, perfetto equilibrio psicofisico di arrogante potenza virile e superba bellezza femminile: non solo infatti la sua personalità ma anche il suo stesso sesso era del tutto particolare, funzionava in modo diverso da un comune membro maschile poiché risultava in qualche modo più sensibile, duttile ed anche assai meno prevedibile: poteva rimanere in erezione per ore senza godere e poteva eiaculare senza essere affatto in erezione.

La sua condotta poi, incline a una sofisticata crudeltà felina ma aliena da qualsiasi forma di clamorosa aggressività, era sempre connotata da un aristocratico distacco: persino nel divampare dell’orgasmo più tumultuoso quella divina creatura era capace di mantenersi all’apparenza imperturbabile, come se in lei tutte le passioni fossero assolutamente interiorizzate. Il che non significava affatto freddezza, anzi: le emozioni quanto più dall’esterno vengono compresse tanto più esplodono dentro.

Fu proprio questa sorta di ghiaccio bollente – affascinante combinazione di focosa sensualità intima e di algido portamento esteriore - che mi fece perdere definitivamente la testa. Non potrò mai dimenticare quella prima notte: l’incendio della passione alla fine lasciò spazio alla dolcezza e quindi a un sonno beato. Tornai a Milano con un marchio indelebile impresso a fuoco sul corpo e uno ancor più indelebile nell’animo.

avventure parigine

Chic & choc.  Un look provocatorio e scandaloso

Il rapporto con Julienne si mantenne sempre su livelli straordinari, con momenti di fantastica intensità sessuale e di rovente erotismo ma anche di soave tenerezza e di piacevole esistenza in comune. Vita mondana, cene, spettacoli si alternavano a qualche rilassante serata passata in casa per conto nostro con il sottofondo della buona musica. Di sicuro non ci annoiavamo mai: non ne avremmo avuto nemmeno il tempo, dato che vivevamo in città, regioni e nazioni separate... Ma in fondo, anche quando eravamo materialmente distanti l’uno dall’altra, il filo della nostra esclusiva sintonia continuava a legarci.

Con me lei arrivò persino a concedersi completamente dato che, quando mi sentiva dentro di sé, non aveva affatto la sensazione di essere posseduta ma al contrario di possedermi, di imprigionarmi all’interno del suo corpo. E così facemmo anche all’amore: lo facemmo a modo nostro, con pulsioni emotive e percezioni del tutto differenti da quelle comuni; ma per noi funzionava bene così, con una perfetta intesa reciproca.

Con Julienne del resto tutta la vita era una continua invenzione, un divertimento a volte premeditato ma spesso colto al volo, seguendo l’estro del momento. Come quando si divertiva a circolare per le pubbliche piazze coperta magari da un mantello senza nulla sotto. D’accordo, l’idea in sé non è poi così originale, anzi rientra nell’immaginario erotico collettivo: il nudo in un luogo pubblico provoca sempre una bella scossa di adrenalina, anche se sul tema ci sono servizi fotografici a migliaia. Però quasi tutti sono realizzati su dei set professionali con modelle e figuranti; oppure sono il frutto di abili fotomontaggi. I pochi davvero genuini in genere sono piuttosto goffi: coppiette che si nascondono all’alba in qualche angolo deserto della periferia dove la donna aspetta l’attimo fuggente per offrirsi all’obiettivo del partner.

Ma Julienne non era certo tipo da svicolare, anzi nel suo sfrontato esibizionismo se ne andava in giro tranquilla a caccia di vittime da fulminare con il proprio charme, poiché per lei esisteva un solo piacere superiore al fascino che esercitava sulla gente, ed era quello di abusarne nel modo più spudorato.

Ricordo un giorno di fine estate: passeggiavamo nei nostri luoghi prediletti intorno a Montmartre. Dopo una uggiosa pioggerella era uscito quel tipico sole parigino capace di trapassare col suo raggio un calice di vino bianco senza privarlo della sua verginità. Saranno state le sei del pomeriggio. Lei camminava eretta su tacchi vertiginosi, un cappellino con veletta, calze fumées con relativo reggicalze e null’altro sotto un elegante spolverino nero a falde accostate ma non abbottonate. Io la seguivo col cuore in gola, pronto a cogliere con la mia macchina fotografica gli attimi fuggenti più eccitanti che il caso ci avrebbe regalato.

Con la pelliccia è un classico: non ci vuole poi questa grande abilità ad aprire e chiudere di tanto in tanto il soffice indumento. Ma occorre un estro davvero funambolico per affidarsi al capriccio della brezza estiva con addosso solo un leggero soprabito slacciato: a volte i lembi se ne restano accostati e a volte svolazzano a mostrare ora una gamba, ora un fianco, ora tutto l’insieme per una frazione di secondo. Non te ne rendi neppure conto: all’improvviso vedi uno scorcio e l’istante dopo più nulla; potrebbe essere stato uno scherzo della fantasia…

Il gioco non consiste affatto nello sfuggire agli sguardi indiscreti ma al contrario nell’incoraggiarli: uno rimane abbagliato dalla scandalosa apparizione e non crede ai suoi occhi? E allora gliela fai rivedere, come per caso da tutt’altra prospettiva… Se poi qualcuno, dopo un paio di questi lampi, si accorge che a una certa distanza c’è chi fotografa la scena, diventa palese che non si tratta di allucinazione ma di realtà; e tuttavia il significato di tale realtà continua a sfuggire: sarà uno spot pubblicitario? Una provocazione? Una sorta di specchio segreto? I più - quando a tua volta li fissi mostrando d’esserti accorto che loro si sono accorti - distolgono lo sguardo e sgattaiolano via visibilmente a disagio. Quasi mai si trova un vero giocatore, uno di quelli disposti a venire a vedere le carte che hai in mano.

Ma ecco un distinto signore sulla cinquantina, vestito di taglio sartoriale, elegante soprabito appoggiato sulle spalle, portamento eretto, gesti decisi, tratto signorile, sicuro del fatto suo… Perfetto! Dalla piazza brulicante passammo in una via laterale e poi in un vicolo: Julienne, offrendosi in modo sempre più audace all’obiettivo della mia macchina fotografica, stava attenta a non fargli perdere le sue tracce. Alla fine gli concedemmo l’opportunità di accostarsi a noi: ci fermammo in una viuzza secondaria davanti alla vetrina di un rigattiere a osservare la mercanzia esposta un po’ alla rinfusa.

Lui, dopo aver salutato con un lieve cenno del capo, senza inutili circonlocuzioni mi chiese cosa volessi per quelle istantanee. Io rimasi in assoluto silenzio. Fu lei a prendere l’iniziativa: ignorando la presenza dell’intruso, mi indicò un antico anello con cammeo esposto in mezzo a tanti altri: “Guarda che lavorazione: nessun orafo oggi sarebbe in grado...” Quello, visto sul cartellino un prezzo piuttosto salato, inarcò il sopracciglio: “Mademoiselle, se così posso chiamarvi... Non credete che io sia un po’ troppo maturo per lasciarmi andare a simili colpi di testa?” “Veramente non credevo che voi foste tanto spilorcio da negarvi una piccola follia.”

Se quel tizio con tutta la sua arroganza aveva sperato di poter mettere in difficoltà Julienne, si dovette ricredere immediatamente. Va però detto che incassò il colpo con classe: entrò nel negozio, ne uscì un attimo dopo con l’anello, le prese con galante disinvoltura la mano e glielo infilò al dito. Quindi, senza soggiungere altro, mi tese il palmo per avere il rullino, raccomandandomi solo la massima cautela per non fargli prendere luce. Fu accontentato senz’altro.

Intanto Julienne, abbandonato il braccio lungo il fianco, lasciò che l’anello le si sfilasse dal dito. Il gentiluomo fu pronto a raccoglierlo da terra: “Temo che vi sia   largo. Sarà mia cura farlo accomodare. Dove posso recapitarvelo?”... Insperata opportunità di ottenere l’indirizzo di quella splendida creatura… La quale non perse l’occasione per ficcargli un’altra acuminata banderilla dritta nel costato: “Non occorre, monsieur. Io non amo i cammei.” “Ma, veramente l’avete indicato voi…” “Io? Io ho solo detto al mio accompagnatore com’è singolare vedere un gioiello così raro nella vetrina di un rigattiere... Come scovare un ago in un pagliaio, non credete?” “Immagino di sì…” “Con questo però non intendevo dire - e tanto meno a voi, monsieur - che mi piacciono i cammei. Anzi, ad essere sincera, io detesto i cammei: mi mettono malinconia!”

 “Temo di non capire...” “Non importa. Vedo piuttosto che portate la fede: presumo che vostra moglie sarà entusiasta di questo anello come lo sarete voi dopo aver fatto sviluppare il rullino che avete in tasca.” “Voi mi confondete...” “Sì, lo so: faccio spesso questo effetto.” “Tuttavia vorrei sdebitarmi…” “Sdebitarvi? Volete davvero?” “Ma certo.” Sembrava contenta come una bambina: “Quand’è così, vi chiederò un gesto di cavalleria. Vedete quella pozza nel bel mezzo del vicolo? Ebbene, monsieur: fate del vostro soprabito una passatoia per me.” Al malcapitato a quel punto fu impossibile esimersi: toltosi il soprabito di dosso, con la massima circospezione si avviò a posarlo per terra pochi metri più in là.

“Via, monsieur, non così di soppiatto: vi state comportando come un ladro! Insomma, un gentiluomo certe cose dovrebbe saperle fare... Immaginate di avere indosso un mantello: ve lo togliete dalle spalle facendolo roteare con ampio gesto e lasciate che plani fluttuando al suolo. Poi mi invitate a passare. Su, disinvolto: non siate goffo!” L’uomo, più costernato che mai, eseguì alla meno peggio. Julienne avanzò facendo perfidamente svolazzare le falde dello spolverino – in modo da tramortirlo con un ultimo stupefacente scorcio del proprio corpo - e passò via senza degnare di risposta la confusa reverenza della sua vittima. In quella svoltò l’angolo una ragazza in jeans: avrà avuto sì e no vent’anni, capelli lunghi biondi, occhi azzurri, visetto d’angelo.

Senza girarsi, Julienne diede il colpo di grazia allo sventurato che stava tentando di recuperare in tutta fretta il suo indumento da terra: “Voglio augurarmi che facciate passare anche questa adorabile fanciulla.” E non si fermò oltre. Mi fermai io a godermi il resto della scena: quello, colto sul fatto, rimase impietrito. La ragazza si guardò attorno perplessa. Ci volle il mio incoraggiamento: “Non prendeteci per dei pazzi, mademoiselle! Temiamo solo che possiate bagnarvi i vostri deliziosi mocassini.” Avrei voluto dire “piedini” ma – date le circostanze -  preferii misurare i termini. E feci bene: il tono lieve della mia galanteria infatti la rassicurò. E così l’aria un poco allarmata lasciò il posto a un sorriso malizioso mentre si incamminava a passi compiaciuti… Rimasi per un attimo a seguirla con lo sguardo: incantevole!

Poi raggiunsi di corsa Julienne: “Però, sveglia la ragazzina! Ha capito al volo la situazione.” “E perché non avrebbe dovuto? Voi uomini commettete sempre l’errore di sottovalutare lo spirito delle donne: credete che sia grigio come il vostro…” “Ma, se siamo così pesanti, come facevi a sapere...” “Che quel tizio avrebbe fatto tutto ciò che gli ho ordinato? Ingenuo! Quello avrebbe dato il suo braccio destro...” “Per cosa?” “Lascia perdere. Io tutto quel che mi serve ora ce l’ho già.” E mi prese sottobraccio, dirigendosi in decisa verso casa.

LA CACCIA

Fin qui ho parlato del lato soft di Julienne, tutto giocato in punta di fioretto. Ma se per caso il gioco si faceva duro, lei non si tirava di certo indietro. Anzi, in quelle occasioni sembrava posseduta da una sorta di demone, come se il rischio ne acuisse le percezioni e portasse i suoi sensi al massimo grado di esaltazione, pur lasciandole una padronanza assoluta della situazione e una lucidità glaciale. Sapevo che quel fisico apparentemente esile in realtà era fatto d’acciaio temprato; sapevo che praticava il karate, ma non che fosse una simile macchina da guerra.

Lo scoprii la prima volta quando un noto disegnatore moda, assiduo frequentatore dei circoli laether più hard, la invitò per una serata particolarmente incandescente. Fin troppo ovvio che si trattasse di una sfida: un convegno così - per il luogo, la gente e le modalità - era distante mille miglia dal consueto stile di Julienne. Eppure, con mio grande stupore, lei raccolse la sfida con entusiasmo.

Entrammo in un vasto scantinato, una tipografia in disuso, archeologia industriale: odore di piombo, fantasmi di torchi arrugginiti, ombre di vecchie rotative proiettate sui muri da fasci di luce agghiacciata. Elettricità nell’aria, simboli inquietanti, scintille di violenza. In una atmosfera decisamente “noire”, si aggiravano teste rasate, maschi villosi e nerboruti, vestiti di cuoio, di metallo e di aggressività pura; molti i carnefici, molte le vittime, qualcuno neutrale ma nessuno indeciso, perché quello non era proprio il posto adatto...

C’erano per lo più uomini ma non mancava qualche femmina nuda, indifesa, votata a ogni oltraggio del corpo e dell’anima. Evidente come in un posto simile la posizione di Julienne fosse fra le più ibride e pericolose. E lei, per renderla ancora peggiore, s’era infilata un body intero di rete nera a maglie piuttosto larghe, con le solite aperture nei punti strategici oltre a smagliature e buchi da cui trasparivano striature  di recenti scudisciate fatte ad arte... Camminava un po’ traballante sui tacchi a spillo dei suoi stivali lucidi sopra il ginocchio; il viso pallidissimo faceva contrasto con le labbra violacee e con il contorno degli occhi scuro per il trucco o forse per le occhiaie: un travestito strafatto insomma, costretto a vende sesso violento per racimolare danaro.

A me per contro aveva fatto indossare un giaccone nero, cinturone e bracciali borchiati e il resto che si conviene a un master tutto muscoli e cuoio tranne una lunga frusta da domatore che stringevo nel pugno arrotolata in ampie volute. La gente vagava nella penombra; un po’ ovunque si formavano gruppetti illuminati a intermittenza da riflettori.

Lei procedeva fragile, tremante, a testa bassa, con un’aria di vulnerabilità atta a aizzare i peggiori istinti di sopraffazione; io, per nulla a mio agio in vesti per me tanto inconsuete, me la tenevo stretta al braccio: “Ti prego, Julienne, andiamocene.” “Neanche per sogno! C’è un sacco di gente che ci sta aspettando.” “Sì, ma per farti la festa.” “è evidente!” “E tu presti anche il fianco? Guarda come ti sei conciata!” “Mimetizzata, mio caro. Mimetizzata! Questa, se non l’hai ancora capito, è una battaglia e noi siamo qui apposta per combatterla.”

Il nostro comune amico, che sfarfalleggiava come un frivolo maestro di cerimonie divertendosi a soffiare qua e là sopra il fuoco, le si fece incontro a salutarla con socievole ipocrisia: “Julienne, ma che sorpresa! Che meraviglia che sei. E chi è questo bel maschione? Non mi dirai che finalmente ti sei decisa a farti fare il culo!” “Non mi hai invitata apposta?…” Lei parlava con una voce bassa e gelida, mantenendo il capo chino.

“Ma no, tesoro, che dici? Qui ognuno è libero di fare ciò che più gli aggrada nel pieno rispetto della volontà altrui.” “Commovente!... E tu, dimmi, hai voglia di farti male?” “Io no davvero, gioia! Sai che a me piace guardare e basta!” “E allora, nel pieno rispetto della tua volontà, ti consiglio di sparire. Lascia che i tuoi pargoli vengano a me…”

E con questa citazione evangelica se lo tolse dai piedi. Ci andammo a piazzare in un posto defilato, quasi nascondendoci negli anfratti più bui, lontano dalla varia animazione. “Non capisco dove vuoi arrivare, Julienne...” “Ma tu non devi capire: tu devi fare quello che ti dico io e basta. Tienimi salda per il braccio e accenna a qualche gesto impositivo. Fingi di strapazzarmi un po’, muoviti!” “Va bene... Ma a che serve? Tanto qui non ci nota nessuno.” “Se è solo per questo, ci hanno già notato tutti, mio ingenuo amico.”

Difatti non tardò a farsi avanti un drappello  di omaccioni a chiedermi se volevo mettere in comune la mia preda. Io risposi di no, anche perché ne stava prendendo già abbastanza da me. Quelli, tra l’irridente e il minaccioso, alla fine si allontanarono con mio grande sollievo. “Visto? Se ne sono andati.” “Calma. Questi sono solo quattro pagliacci mandati in avanscoperta. Fra un po’ arrivano quelli giusti.”

E infatti un torvo energumeno, una massa di muscoli in tensione (compreso quello in mezzo alle gambe) dopo neanche due minuti si avvicinò accompagnato da un degno socio. Si trascinavano al guinzaglio una specie di burattino in tuta di lattice che martoriavano di tanto in tanto a pugni e calci: “Ehi campione, corre voce che te la vuoi tenere tutta per te...  Però adesso io ho il cazzo che mi tira e avrei giusto voglia di trapanare una puttanella strafatta come quella lì.”

Io, dopo aver finto di consultarmi sottovoce con la vittima predestinata, risposi: “Mi spiace ma questa sera la puttanella dice che non gradisce.” “Ho capito bene? Non gradisce?!” “No, e non gradisco neanch’io.” Una sghignazzata si levò dalla coppia di teppisti: “Non gradite? E allora ce la veniamo a pigliare noi.” “Dovrete passare sul mio cadavere!” “Il suo cadavere!... Non essere così melodrammatico, stronzetto! Sai cosa ci faccio con te Ti appendo per i piedi e, quando ho finito con lei, ti ficco un braccio su per il culo e ti rivolto come un guanto! Lo gradisci questo, stronzetto?”

Io non so come feci a non svenire e non ricordo neppure esattamente ciò che uscì da quelle bocche. Le minacce che vado a riferire dovettero essere fra le meno irripetibili. A quel punto intervenne Julienne: “Il signore detto ha già detto di no. Siete sordi?” “Ti ci facciamo diventare sorda a te, troia impestata! Perché adesso ti ficchiamo i nostri cazzi a turno nel culo e in bocca, e quando è il momento buono ti sborriamo nelle orecchie e poi te le tappiamo con la cera bollente!” Sputò per terra e si avvicinò minaccioso. Non appena fu a tiro, Julienne rapida come una saetta mi prese la lunga frusta di mano e la fece schioccare dal basso verso l’alto con una precisione micidiale, proprio laddove a un maschio fa peggio. Un colpo leggero, altrimenti sarebbe stato davvero pericoloso: insomma, quel tanto che era sufficiente a paralizzarlo per un attimo. La frusta in un baleno serpeggiò di nuovo e si attorcigliò intorno alle gambe del compare; bastò un deciso strattone per farlo cadere a terra all’indietro senza che nemmeno si rendesse conto di ciò che stava succedendo. Messo fuori gioco il gregario, lei con calma si avvicinò a finire il capobranco: con una ginocchiata alla pancia lo fece piegare in due senza fiato; un successivo colpo di taglio sul collo lo fece crollare a terra definitivamente.

Quell’altro, mentre si dimenava nel vano tentativo di rialzarsi, ricevette il tacco dello stivale di Julienne sulla bocca dello stomaco e rimase letteralmente privo di fiato. Lei allora gli si accosciò davanti e, usando la sua lunga frusta a mo’ di corda, in pochi istanti finì di legarlo come un salame con le mani dietro la schiena. Quindi si pose eretta davanti al bestione ai suoi piedi: “Vuoi giocare duro, eh? Che tesoro! Hai visto che mi annoiavo e hai pensato di venire a movimentarmi la serata. Sai come va adesso, scimmione? Innanzitutto pulisci il pavimento su cui hai sputato. Forza!... No, no, non così!... Con la lingua.”

La suola premuta sulla nuca dell’uomo non gli dava scampo. “Ecco, bravo. E adesso ti prendi il tuo amichetto, filate nello spogliatoio, vi rimettete in ordine come due bravi impiegatucci e togliete il disturbo. A proposito, il vostro fantoccio in similpelle lo requisisco io perché può tornare utile come sgabello. Vero che vuoi restare, gioia?” Quello col capo ciondoloni si affretto ad acconsentire. Lei si sedette sulla sua spalla egli accarezzò il capo: “Ecco, vedete che bravo? Lui può restare. Voi no!”

La mia armoniosa e venusta creatura – con anni di esercizio, danza classica, karate e quant’altro -  a dispetto delle apparenze si rivelò tutt’altro che indifesa. E infatti non concesse alcun respiro; un estremo tentativo di protesta venne stroncato sul nascere dall’ennesima stilettata del tacco aguzzo: “Uscite dalla porta di servizio senza farvi vedere da nessuno. Da nessuno, capito?! Non guastatemi l’effetto sorpresa! Occhio, ragazzi: finora ci sono andata leggera, ma un’altra mossa falsa e perdo davvero le staffe!”

I due trogloditi sembravano più che convinti che non era il caso di contraddirla e strisciarono quatti quatti in ritirata. Liquidata questa prima formalità, Julienne andò a cercarsi altre sfide. “Ora sì che ci divertiamo.” Ci portammo più al centro del locale. Sopra una grande pedana illuminata da un fascio di luce, alcuni omaccioni fra botte e improperi stavano appendendo una ragazza al soffitto con delle catene ai polsi, in modo che toccasse terra appena in punta di piedi.

La giovane donna era paffutella, non altissima, capelli castani corti, viso dolce, seni grossi, un corpo soffice e pieno di piercing e solidi anelli che la rendevano facile da manovrare. E infatti cominciarono senza indugio a rigirarla da tutte le parti, sottoponendola al canonico repertorio delle sevizie più efferate e dei più osceni oltraggi. Lei si dimenava e urlava a squarciagola come un porco al macello: mi si accapponava la pelle al solo guardarla! Julienne parve leggermi nel pensiero: “Tranquillo, qui non viene infranta nessuna regola. I carnefici saranno anche dei disgustosi buzzurri, ma sanno cosa fare. E lei sta godendo come una pazza. Il cervello, mio caro, è il più potente degli anestetici. A lei piace il dolore, è in trance, non lo vedi? Giusto quella che fa per me!”

“Ma, se sono tutti consenzienti, perché disturbarli? Questa volta l’azione scorretta la stiamo facendo noi.” “Scorretta? Oh no! Fanno parte anche loro del gioco. Tutti o quasi qua dentro ci stavano aspettando, non te ne sei accorto?… E poi non voglio mica torturarli; voglio solo rubargli la scena, ecco tutto. Presto, dammi la tua cintura e i bracciali borchiati; devo ritoccare un filo il mio look. E ora mettiti addosso un mantello e va’ a prendermi quel grosso sacco che troverai nel baule della macchina. C’è dentro della roba che mi serve: portala qui.”

Mentre mi accingevo a ubbidire, lei senza porre un solo secondo in mezzo salì decisa sul palco: “Ehi, gorilloni, posso giocare anch’io?” Era sorprendente come sotto i riflettori si fosse trasformata; il portamento fiero, il cinturone borchiato, quella lunga frusta arrotolata in pugno e lo sguardo magnetico invertivano il senso del suo body di rete strappato qua e là con quei finti ematomi che si intravedevano sotto: adesso appariva come un’impavida guerriera uscita vittoriosa da una battaglia furibonda con un crudele nemico e decisa a chiudere i conti in sospeso.

La reazione fu astiosa: “Vai in cerca di guai, checca di merda? Questa qui è nostra e ce la facciamo noi, capito?!” “Sì, se foste in un angolo buio. Ma disgraziatamente vi siete messi in vetrina: la gente ha diritto a uno spettacolo un po’ migliore.” Cessò ogni altra attività e tutti i presenti alla spicciolata si fecero intorno incuriositi. La vittima, appena si rese conto di quanto stava succedendo, accennò a una isterica protesta: “Che c’entri tu? Vattene! A me piace...” Un ceffone violento si abbatté sul suo volto; “Taci, schiava. Nessuno ha chiesto il tuo parere!” Perfino la voce di quell’essere indecifrabile d’un tratto era diventata tagliente come una lama di rasoio. Poi, di nuovo flautata verso gli aguzzini: “No, a pensarci bene non voglio farmela insieme a voi, la voglio tutta per me! Vuol dire che ce la giochiamo!” “Non ci giochiamo un bel cazzo di niente, capito?!...” “Ma come, quattro bei maschioni palestrati come voi non avranno mica paura di una… Come mi avete definita?… Checca?” Uno dei quattro sputò per terra (il solito gesto di cortesia) al suo indirizzo: “E va bene. L’hai voluto tu. Vuol dire che ti togliamo la pelle a frustate mentre a turno uno ti caga in bocca e l’altro ti sborra in culo.” “E perché mai a turno? Ho anche le narici… Volendo, c’è posto per tutti quanti assieme!”

Aveva tutta l’aria di mettersi al peggio. Io ero rimasto lì esterrefatto ma pronto a intervenire e a difenderla, anche se non sapevo bene cosa avrei potuto fare. Lei d’un tratto mi vide e mi intimò: “Va’ a prendermi ciò che ti ho detto, immediatamente!” Fu come una sferzata: mi precipitai fuori a razzo per fare ritorno il più presto possibile... Ignoro cosa accadde nel frattempo, ma dovette accadere in meno di tre minuti, perché tanto ci misi. Quando rientrai col sacco, la gente stava sghignazzando di gusto: tre bestioni erano già scomparsi dalla scena e l’ultimo incespicò goffamente nel piede di Julienne che lo aiutò così a scendere più veloce dalla pedana. Non riuscivo a credere ai miei occhi: ero stupito da quel lato tanto guascone del suo carattere non meno che da quella agilità fisica assolutamente micidiale, che ai tempi ero ancora ben lontano dal conoscere. Sbarazzatasi con irrisoria facilità degli avversari, si rivolse alla vittima: “E così tu godi col dolore, eh?” “E col cazzo di un vero maschio!” “Avrai l’uno e anche l’altro... E dove lo preferisci? Qui?... Oppure qui?” Le passò una mano fra le gambe, poi gliela appoggiò alle labbra. Lo sguardo di quella s’infiammò di sfida: “Dovunque, ma che sia vero!” “E così pensi che io non ne abbia uno vero e che non sia capace di torturarti come piace a te? Ti sbagli, piccola mia. Oh, come ti sbagli!”

 I presenti s’erano assiepati tutti intorno. Intanto io avevo aperto il sacco che lei m’aveva ordinato di portare: dentro c’erano alcune cose tra cui la più vistosa e ingombrante era una sedia che mi la fece porre proprio sotto gli occhi della schiava incatenata. Ciò fatto, sparii subito dalle luci della ribalta. In realtà continuavo a passare a Julienne gli oggetti che lei man mano richiedeva, ma cercando di rendermi quasi invisibile…

La sedia era di legno, semplice, squadrata, normalissima; se non che il pianale era cosparso d’una selva di sottili aghi lunghi mezzo centimetro, tranne che nella parte destinata alle zone più intime; lì si ergeva invece una levigata prominenza falliforme di rispettabili dimensioni.

Calò il silenzio assoluto intorno. Julienne si avvicinò a passi lenti, eretta sui tacchi vertiginosi degli stivali, avvolta nel body a rete da cui fuoriusciva quel suo gingillino di forma e dimensione ancora vezzosa. Ogni gesto, ogni suono giungeva lucido, netto, senza la minima sbavatura.

La bella carnefice fissò dritta negli occhi la giovane vittima sbiancata in volto: “Dunque è il dolore che cerchi?” Quella deglutì ma ebbe ancora il coraggio di tenerle testa, lanciandole un’occhiata impertinente verso il basso ventre: “E anche un bel cazzo...” “Da infilarti in bocca per farti stare zitta. Ho capito, ho capito, non preoccuparti!” Quattro secchi ceffoni in rapidissima successione la lasciarono completamente annichilita.

“Ecco, così va meglio! Possiamo dare inizio allo spettacolo o hai qualche altra insolenza da esprimere?” Non ci fu bisogno di risposta. Julienne con movimenti calmi e sicuri  staccò le manette ai polsi dalla catena con cui la vittima stava appesa al soffitto, reggendosi in punta di piedi. Quindi la prese per i capelli e se la tirò appresso come se fosse un fantoccio: “Forza, accomodati! Su, svelta, fa’ da sola... Attenta a infilarti quel fallo... No, non lì stupida, di dietro!... Non temere, è cosparso d’olio balsamico... E gli aghi sono stati tutti accuratamente sterilizzati... Siediti tranquilla!... Giù... Ancora un po’ più giù! Brava. Così può andare.” Quella eseguiva come un automa. Dietro precisi ordini io mi accostai sommessamente per ammanettarle entrambe le braccia della vittima dietro la spalliera e ne assicurai le caviglie alle gambe anteriori della sedia.

Anche in quella posizione la giovane donna con una fatica improba cercava di tenersi in equilibrio inarcando per quel poco che poteva il bacino al fine di non appoggiarsi di peso sugli aghi. Cosa che non poté evitare quando l’aguzzina sollevò una gamba, appoggiò il piede sulla coscia della vittima e premette con decisione. Nel vasto scantinato risuonò l’eco di un urlo lancinante. Julienne, con la velocità d’un fulmine, ne approfittò per infilarle nella bocca spalancata una sorta di divaricatore che teneva in mano, nascosto dietro la schiena;  poi glielo legò stretto alla nuca a mo’ di bavaglio e si fece consegnare da me un altro strano aggeggio. “Vuoi un uccello davvero enorme?... Beh, allora dovrai guadagnartelo con fatica e sofferenza: nella tua mente fra poco non ci sarà spazio che per il dolore, così come nella tua bocca non ci sarà spazio che per il mo piacere, vedrai… Ora fuori la lingua!” Ci volle una nuova improvvisa pressione del tacco per sollecitare la vittima all’obbedienza. Come uscì timidamente la punta della lingua, con la solita fulminea rapidità fu attanagliata da una pinzetta a molla dalla presa d’acciaio, con le ganasce foderate da uno spesso strato gommoso, in modo che imprigionasse la lingua senza lasciarla scivolare ma nemmeno provocarle ferite. Dalla pinzetta pendevano due catenelle che furono agganciate agli anelli dei capezzoli in spasmodica tensione. “Però!... Veramente comodo questo piercing al seno!... Ora ti insegnerò a fare della tua lingua un uso diverso da quello di dire sciocchezze: grado per grado ti trasformerò nella rappresentazione vivente del dolore...”

Gli occhi della ragazza erano sbarrati, il respiro affannoso. Julienne si fece consegnare da me la classica cravache da fantino e, postasi a debita distanza, tranquilla e sorridente con una mano sul fianco, con precisi colpi di diversa intensità elargiti col semplice movimento del polso cominciò a centrare ora un seno, ora una gamba, ora il ventre, ora persino la guancia o la fronte: questo affinché la poveretta ritraesse istintivamente la testa all’indietro con un conseguente stiramento dei capezzoli agganciati alla lingua; e quando la lingua, in conseguenza di ciò, usciva fuori dalla bocca in tutta la sua lunghezza,  ecco che subito veniva centrata dalla punta dello scudiscio più e più volte. La vittima sobbalzava senza difesa alcuna. Julienne, munita di quella bacchetta flessibile che maneggiava con diabolica  precisione e tempismo, le faceva fare con irrisoria facilità tutti i movimenti che voleva; ed ogni minimo movimento aggiungeva strazio allo strazio. Le gote della ragazza erano solcate da un fiume caldo di lacrime e dalla sua gola provenivano inarticolati lamenti ora sommessi, ora lancinanti. La cosa durò interminabili minuti, con una incredibile varietà di scudisciate accompagnate da implacabili commenti ironici: “Che lingua lunga che hai! Per leccarmi meglio, piccola schiava?...” “Come andiamo col dolore? Bene così o ne vuoi ancora?...” “Non mi dirai che preferivi le brutali mazzate di quei gorilloni!...” Poi d’improvviso si fece seria e la guardò per un istante nel profondo degli occhi con una intensità di cui tutti si accorsero all’esterno ma il cui senso intimo rimase assolutamente esclusivo: “Eccoci al dunque, piccola mia: ora non ci siamo che noi due con il nostro cuori di tenebra, la nostra fantasia di cristallo, il delirio di un tormento e di un’estasi sconosciuta a tutti tranne che a noi due.”

La lenta agonia della vittima provocava intanto in Julienne una sempre più manifesta eccitazione. Alla fine si avvicinò e, incombendo sulla poveretta, sollevò il piede sinistro, puntò il tacco quasi sull’inguine ed appoggiò la splendida virilità che andava man mano acquistando proporzioni davvero imperiali sulla sua lingua; giocherellò dentro e fuori dalla bocca guardandola divertita dall’alto. “Era questo che volevi, no? Va bene un membro di questa taglia o preferivi quelli dei tuoi scimmiotti? No… questo è infinitamente più bello e anche più grande: semplicemente adorbile, divino, non è vero?” A quelle parole la ragazza, che cercava sempre come poteva di tenersi almeno sollevata dagli spilli, ebbe un fremito seguito da irrefrenabili sussulti di delirio. “Eccola qui la mia puttanella masochista che sta godendo. Te lo dicevo che ti avrei portata a profondità e altezze siderali. Ora però sarai tu a dovermici portare.” Julienne con eleganti movenze si mise davanti alla sua vittima e le si sedette in braccio con inesorabile lentezza, fino ad accomodarsi con tutto il suo peso. I sottili aculei, che fino ad allora erano penetrati solo in una natica e per il resto non avevano provocato altro che qualche graffietto superficiale o qualche piccola punzecchiatura, penetrarono pian piano sino in fondo, dappertutto e tutti insieme nelle tenere carni; ed anche il fallo d’avorio arrivò ai più segreti recessi. Uno straziante, interminabile ululato uscì da quella bocca spalancata. Julienne senza scomporsi neanche d’una virgola, si mise comoda, accavallò le gambe, lasciò senza fare una piega che si sfogasse a urlare come una pazza. Infine la abbracciò e, tenendola per i capelli, le tolse la pinzetta dalla lingua e la baciò con passionale intensità: “Lasciami bere tutto delirio dalla tua bocca, tesoro mio.” La vittima si dibatté a lungo disperatamente ma invano. Lentissima fu l’assuefazione a quel nuovo atroce dolore, e ravvivata da sempre nuovi tormenti ai capezzoli, ora accarezzati con amorevole delicatezza ed ora perfidamente stretti fra le unghie aguzze... Ma pian piano i sussulti di dolore si andarono trasformando nei fremiti di una nuova estasi. Alla fine si calmò. Julienne allora sfiorò con le sue labbra quegli occhi lucidi, le accarezzò affettuosa il viso bagnato dalle lacrime, le bisbigliò con dolcezza delle paroline all’orecchio; poi a voce alta: “Dovrai soffrire ancora, piccola mia; la strada per arrivare al mio piacere è lunga. Ora ti farò liberare le braccia affinché possa dimostrarmi con le tue più amorevoli carezze tutta la devozione che provi.”  Mentre io, senza farmelo ripetere, le scioglievo i polsi dallo schienale della seggiola, attaccavo alla catenella, che ora pendeva dai seni una staffa non abbastanza lunga per arrivare al suolo. Julienne spinse la testa della vittima verso il basso e infilò un piede nella staffa costringendola pian piano a piegarsi in due in avanti finché la bocca indifesa non ebbe accolto per intero quella arrogante virilità ormai diventata enorme e pulsante di un piacere a stento trattenuto. La mantenne ferma per qualche secondo e quindi le concesse di respirare; e poi di nuovo giù fino in fondo. Sempre tenendola sacrificata in quella contorta, atroce posizione, Julienne richiese una candela accesa e si mise a versare dall’alto della cera bollente, fino a iscrivere con pignola precisione su quel dorso il proprio nome per esteso. La schiava sobbalzava, traendo fra un  gemito e l’altro quei pochi respiri che le erano concessi; e intanto, quasi grata di tutte quelle perfide sevizie ricevute, accarezzava le gambe accavallate di Julienne, vinta dal loro splendore. “Ecco, piccola mia; è quasi giunta l’ora di bere il mio piacere.” Stupefacente come questi sussurri lievemente soffiati si udissero forse più delle urla.

Lei si fece dare di nuovo un corto scudiscio con cui cominciò a batterla: sferzate sonore, brucianti: “Voglio cancellare il mio nome dalla tua schiena: dopo, sarai tu a pregarmi di riscriverlo a fuoco sul tuo corpo... Dopo, il tuo desiderio più intenso sarà quello di essere mia ancora e ancora... Mia per sempre. Ma non avverrà: io ti restituirò la libertà. Non sarai più mia nemmeno per un attimo, e dopo di me non potrai essere più davvero schiava di nessun altro. Per te non ci sarà tormento maggiore della libertà che fra poco, dopo aver preso pieno possesso del tuo corpo e della tua anima, ti infliggerò.” Intanto gli attimi che erano concessi alla schiava per respirare divennero via via più brevi fino ad annullarsi del tutto. La poveretta si dibatteva invano, boccheggiava come un pesce fuor d’acqua ma veniva tenuta spietatamente giù, ferma a rantolare ormai quasi soffocata; e secche nerbate aggiungevano ai rantoli i singhiozzi, le urla, i gemiti. La gola, che si contraeva pulsando nei disperati aneliti intorno a quell’imperiosa virilità (esperienza atroce e allo stesso tempo sublime che io avevo vissuto e che non mi sarei mai stancato di vivere), dovette provocare un potente orgasmo perché Julienne riversò la testa all’indietro e sospirò a lungo in un estatico delirio. Poi, fattasi languida, sfilò il piede dalla staffa e mollò lentamente la presa. La vittima si risollevò dopo qualche istante indolenzita, respirando con immenso affanno. Ma dal suo sguardo estatico, quasi allucinato, si vedeva che anch’essa era venuta per l’ennesima volta, che aveva goduto come non mai in vita sua. Julienne l’abbracciò di nuovo e la baciò con tenera passione. I riflettori si spensero. Scoppiò un applauso fragoroso...

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